Capitolo #1

La bella Michelina

Era una primavera del marzo 1968, quando il peschereccio di Gaetano Graniero, La Bella Michelina, durante l’attività di pesca nelle acque del Golfo di Baratti, riportò a galla nelle sue reti uno strano oggetto, simile a una fiasca, ricoperto dalle incrostazioni marine e deformato.

Pensate al disappunto del povero Graniero, pescatore emigrato a Livorno con la moglie e che, spinto come tanti dalla miseria, aveva un’unica preoccupazione: mantenere decorosamente la famiglia composta già allora da ben nove figli.

Capitolo #2

Un secchio arrugginito

Un secchio arrugginito” – così lo definì lui stesso – “a cui io non avevo dato alcuna importanza. Fosse stato per me lavrei ributtato in mare! Invece i miei uomini, appena rientrati nel porto di Livorno, decisero di portare l’oggetto al bar dove erano soliti andare per farlo vedere”. 

Fu così che lo strano vaso finì nelle mani di qualcuno che  probabilmente aveva capito che il “secchio” era qualcosa di prezioso. La moglie di Gaetano, venuta a conoscenza del fatto, decise di rintracciare il nuovo possessore dell’anfora e, dopo aver rifiutato un’offerta in denaro, se la riportò a casa.

“Anche se era tutta sporca, a me piaceva e volevo tenerla in casa nostra. La misi sotto la culla dell’ultima nata”. Come se le divinità che si intravedevano sotto le incrostazioni potessero proteggere la bambina.

Capitolo #3

Un dono di inestimabile valore

I coniugi Graniero non erano a conoscenza di quanto recitava la legge 1089/39, che stabiliva che tutti gli oggetti ritrovati con interesse artistico, storico, archeologico o etnografico dovevano appartenere allo Stato e chiunque li avesse ritrovati avrebbe dovuto farne denuncia alle autorità. Cosa che la famiglia Graniero non fece.

Un loro amico, tuttavia, avendo intuita l’importanza dell’oggetto, fece scrivere all’allora Presidente Giuseppe Saragat, comunicando l’eccezionale ritrovamento e l’intenzione di offrirlo in dono al Presidente

La speranza era quella di poter ricevere una qualche forma di riconoscimento, invece, non avendone data notizia alle autorità, il pescatore rischiava di essere accusato di furto. La faccenda era seria e dopo circa 5 giorni, il Nucleo di Polizia Tributaria entrò in casa della famiglia Graniero e sequestrò il reperto.

La Soprintendenza di Firenze stabilì che si trattava di un’anfora di alto interesse archeologico e artistico, di argento quasi puro: un pezzo straordinario e unico al mondo. Dopo quasi 5 mesi il Pretore di Livorno emise la sentenza: il pescatore Gaetano Graniero non poteva essere accusato di furto perché aveva reso noto il ritrovamento alla più alta carica dello Stato e la Guardia di Finanza avrebbe dovuto consegnare l’anfora alla Soprintendenza.

Capitolo #4

Il simbolo del Museo archeologico di Cittadella a Piombino

Dopo il lungo restauro l’Anfora di Baratti ha acquistato un valore inestimabile e, dal 2001, è entrata a far parte della collezione permanente del Museo archeologico del Territorio di Populonia a Piombino, e oggi, con i miti e le divinità raffigurate sui suoi medaglioni, ne rappresenta il simbolo.