Capitolo #1

L'amore mio è roccia ormai

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campo di farroFotografia di: Michele Catania
Castiglione di GarfagnanaFotografia di: Davide Papalini

Sono un coltivatore di Castiglione, questo è il mio campo di farro… si fa presto a dire mio, è stato di mio padre quanto di mio nonno, tra i pochi a tenere in vita l’amore e la cura per questo cereale. C’è stato un tempo in cui il farro non era in tavola nemmeno negli anni di carestia. Cibo per polli, deliravano. Certo, qualcuno come mio nonno ne custodiva il segreto, “assicura lunga vita”, diceva sempre, e non mancava di seminarne un po’ per le sue amate zuppe. C’era anche qualche ristoratore di Lucca che arrivava da queste parti per riportare a valle una piccola balla di farro. È grazie a loro che si è salvato un seme che altrimenti sarebbe stato risucchiato da decenni di indifferenza.

Capitolo #2

Un'altra vita

Parliamo del capostipite dei cereali, citato nella Bibbia e da Erodoto. Per gli archeologi viene dalla mezzaluna fertile, fra Assiria ed Egitto: dove è nata la civiltà. I Greci rinunciarono all’orzo pur di nutrirsi del farro. In Italia arrivò nel V secolo a.C., era il cibo preferito degli Etruschi, i Romani lo macinavano per farne una polenta. Sacro a Cerere il farro era la paga dei soldati e il dono tradizionale della sposa al marito nel giorno del matrimonio. La focaccia non lievitata di farro, il libum, era il regalo del capodanno romano.

Capitolo #3

Le discese ardite, e le risalite

È vero, con l’andare dei secoli il farro lasciò spazio ad altri cereali, i campi coltivati si ridussero, arrampicandosi sui terreni sempre più impervi delle montagne. Ne restarono sempre meno, qualcuno tra le colline dell’Umbria e delle Marche ma soprattutto qui, tra le montagne di Garfagnana.

Quello che molti non potevano prevedere era che la rotta era destinata ancora a invertirsi. Nel dopoguerra i lucchesi ne compravano sempre di più, la novità diventava passaparola e contagiava sia gli amanti della cucina che i primi turisti che risalivano il Serchio in cerca della mitica zuppa. Diventava chiaro che ci si poteva cavare qualcosa, da questo farro: forse addirittura si poteva sperare in una rinascita di tutta la nostra terra. In pochi avevano venduto i campi da queste parti, anche chi era partito per le Americhe se li era tenuti, e in tanti a quel punto iniziarono a imitare mio nonno e coltivare il cereale rimasto nascosto tra le gole delle nostre valli.

Capitolo #4

Sì, tu lo sai

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farroFotografia di: Patrizia Malomo, Andante con Gusto
farroFotografia di: Patrizia Malomo, Andante con Gusto

La Garfagnana così è diventata una terra d’eccellenza per il farro, che qui cresce alto e rigoglioso con chicchi grossi, bianchi, regolari. E il nostro non va ammollato la sera prima: basta sciacquarlo! Qui si è raffinata la varietà migliore che non a caso è stata tra i primi prodotti della cucina povera a guadagnarsi il marchio europeo IGP, a metà degli anni ’90. Oggi a coltivarlo siamo in un’ottantina, e non ci sono solo io a Castiglione di Garfagnana, ci sono campi in tutti i comuni. È una produzione da intenditori, finisce in poche settimane. Si semina tra la fine di ottobre su terreni in leggera pendenza e a febbraio le piantine spezzeranno la brina gelata. Non usiamo pesticidi e amiamo vederlo crescere come una liana fino alla tarda primavera.

Fotografia di: Böhringer Friedrich